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mercoledì 26 giugno 2013

La Nuova Frontiera arriva in Europa


Il presidente Kennedy arriva in Italia da solo, cioè senza moglie; per cui la visita avrà un carattere strettamente "business": le conversazioni politiche saranno il solo motivo d'interesse.   Durante la visita ufficiale di due anni fa in Francia, invece, Jacqueline aveva talmente polarizzato l'interesse di tutti e distratto persino il generale De Gaulle, che il presidente americano, a una conferenza stampa, dovette ricorrere all'arguzia per recuperare l'attenzione dei giornalisti: "Sarà forse opportuno che mi presenti", disse loro, "sono quel tale che ha accompagnato a Parigi la signora Jacqueline Kennedy". [...]
L'Europa che Kennedy trova adesso è ben diversa da quella che lasciò due anni fa, dopo la sua visita a Parigi.   Il grande disegno di unità europea, e in un secondo tempo atlantica, è drammaticamente compromesso.   E proprio per mano del presidente francese.
Il 1963 doveva essere l'anno dell'Europa.   Il Mercato Comune avrebbe portato all'integrazione economica e politica degli Stati occidentali: la sua marcia verso la eliminazione di tutte le barriere interne, da quelle doganali a quelle ideologiche, sembrava inarrestabile, fatale.   Altrettanto inevitabile pareva l'ammissione della Gran Bretagna e degli altri sei paesi membri dell'Area di Libero Scambio, EFTA (Svezia, Norvegia, Danimarca, Austria, Svizzera e Portogallo), così da formare una comunità ricca e popolosa quanto o più degli Stati Uniti.   Questi ultimi poi, incoraggiati dalla riduzione delle tariffe doganali promessa da Kennedy, si preparavano a dare il via al più colossale piano di liberalizzazione degli scambi nella storia dell'Occidente.   Dalla piattaforma economica si sarebbe potuto costruire in seguito una Comunità atlantica politica.
Oggi Kennedy può constatare di persona quanto questi sogni fossero lontani dalla realtà.   È bastato un no: il veto di De Gaulle alla Gran Bretagna nel Mercato Comune, lo scorso gennaio, ha di nuovo disintegrato l'Europa.   [...]


Silvano Villani
("PANORAMA" - giugno 1963)

venerdì 5 aprile 2013

Il Goleador di cioccolato (Pelé)


Non era mai avvenuto.   Un intero paese rimprovera Pelé d'essere troppo bravo: rovina il campionato





Edson Arantes do Nascimento, conosciuto in tutto il mondo come Pelé, non piace più ai brasiliani.   Quando gioca lui (e succede quasi sempre), il risultato è scontato in partenza: la sua squadra stravince, e al portiere avversario rimane solo il compito umiliante di raccogliere in fondo alla rete i palloni scagliati dal prodigio nero.   La gente dice: che gusto c'è ad andare alle partite?   Con Pelé manca la "suspense".   Rovina il calcio, rovina il campionato.   Qualcuno gli ha perfino chiesto, con cautela, di moderarsi un pò, ma Pelé è irremovibile.   "il mio dovere è di giocare al massimo delle mie possibilità", ha dichiarato, "e di segnare gol.   Mi limito a fare il mio dovere". [...]
"Non è propriamente un calciatore", scrisse di lui un giornalista sportivo, Gianni Brera, "è un dio degli stadi.   Riunisce in sé le qualità dell'atleta campione olimpico e del jongleur più raffinato".
La stessa impressione avevano avuto gli spettatori di Stoccolma nel 1958, quando l'allora diciassettenne Pelé aveva trascinato alla vittoria il Brasile nella Coppa del mondo, contro la Svezia.   In principio la Svezia era passata in vantaggio, segnando la prima rete: sullo slancio del gol i nordici dominavano il campo, e sembrava che per i loro avversari non ci fosse più nulla da fare.   Ma, proprio a questo punto, cominciò a funzionare il motore Pelé.   La mezz'ala nera sciorinò davanti alla gran folla dello stadio Rasunda tutti i numeri del duo repertorio.   Giocava con tutto il corpo: con la testa, con i talloni, con le dita dei piedi, col petto, con le ginocchia.   Diventò subito il preferito del pubblico, anche se il suo stile non aveva nulla d'individualistico.   La tecnica raffinata di Pelé era posta al servizio delle esigenze della squadra.   Anche quella partita finì col risultato di 5 a 2, in favore del Brasile.[...]