Gli italiani contemplano i loro televisori, transistor,
automobili, motorette, aspirapolvere e se ne esaltano. Per molti il miracolo è questo campionario
di macchine e macchinette. Ma ci sono
anche il cibo, l'abitazione, la salute, la scuola su cui gli italiani non amano
riflettere. E fan bene, se no il loro
benessere gli sembrerebbe meno grande e il loro miracolo meno glorioso.
Vediamo il cibo.
Oggi il modo di cibarsi dell'italiano è quello di uno appena uscito
dalla povertà, ma con capricci da aristocratico; che abita in un Paese
sovraffollato, massificato, ma pieno di pretese; dove non c'è abbastanza roba
per far mangiare bene tutti, ma dove tutti vogliono le cose più rare nel tempo
inadatto. Cioè un Paese che esige pranzi rapidi ma respinge
i cibi in scatola; i ristoranti a buon prezzo ma con le primizie e le
specialità; le squisitezze locali, ma prodotte su scala nazionale e
internazionale.
E siamo, ogni domenica, alla baraonda autolesionista, io
mangio nel tuo ristorante tu mangi nel mio,
ché tanto l'inganno è reciproco: milanesi in Val Trebbia per gustare la
"coppa" fabbricata a Milano, mentre quella autentica della Val
Trebbia viaggia verso i negozi di lusso ambrosiani; il pesce che mangi a Rapallo congelato due
anni fa in Danimarca e quello pescato nel Tigullio fresco fresco che corre nei
camioncini verso Torino. Insomma il
gran guazzabuglio fatto per gli osti stanchi e villani, liberi ormai da ogni
atteggiamento di bonomia, servilismo, rispetto. Lui non ha tempo da perdere, se al signore
piace così, bene, se no si accomodi alla porta c'è sempre la coda per avere un
posto. [...]
L'italiano degli anni sessanta, mangia poco più che
l'italiano degli anni sessanta di un secolo fa. Con una composizione del pasto abbastanza
simile, sempre un settanta per cento ai vegetali, un ventiquattro alle carni,
un sei ai grassi. Con qualche recente
adattamento ai tempi: il consumo del pane che scende negli ultimi dieci anni
dal 37 al 30 per cento del pasto mentre la verdura sale dal 9 all'11 e aumentano
latte e formaggi. Nei grassi l'olio e
il burro che sostituiscono il lardo e lo strutto.
Il che non autorizza a parlare di una migliore qualità
poiché è noto lo scempio della qualità fatto dalla produzione industriale: olii
esterificati, burro adulterato, vino fatto con le carrube, amaretti contenenti
aldeide benzoica, biscotti fatti con il sego estratto dal "quinto
quarto" del bue, diciamo zoccolo, ossa, tendini. [...]
Comunque non si muore più di fame, nell'Italia degli anni
sessanta c'è un piatto di pasta e un pane per chiunque. Restano tuttavia le differenze inique: la
borghesia agiata che ha fra i massimi problemi quello di mangiar poco, di non
ingrassare e vasti strati dell'Italia contadina che assaggiano la carne una
volta la settimana e ignorano praticamente lo zucchero. Sicché, fatte le medie, siamo all'ultimo
posto in Europa nel consumo dello zucchero e dei dolciumi: consumiamo un quarto
dello zucchero consumato nel resto del MEC, un sesto dei dolciumi consumati in
Svizzera, un terzo della Francia.
Dicevo un Paese sovraffollato dove tutti, in fatto di cibo,
vogliono le cose più rare al tempo meno adatto: i pomodori fatti arrivare verdi
dalle Canarie, in pieno inverno, e ingialliti con i fumi di zolfo; i peperoni,
l'insalata, le ciliege sempre con un due o tre mesi di anticipo tanto per
pagare cori degli alimenti insipidi; l'uva coltivata nelle serre olandesi,
grossi acini bluastri pieni di acqua dolciastra. E poi la democrazia raffinata, i consumi di massa
con le scelte dei consumi di élite: del bue solo il filetto, del pollo solo la
coscia, del tacchino solo il petto. E
le specialità false a cui nessuno rinuncia: prosciutto di San Daniele del
Friuli fabbricato a Parma, Chianti fatto con vino pugliese, mozzarella di
bufala pontina uscita dagli opifici di Lodi.
E ancora specialità esportate, prosciutti, formaggi grana spediti in
ogni parte del mondo: se la qualità fosse di quella migliore e la domanda
dovesse ancora aumentare una scheggia di reggiano varrebbe più che l'oro.
Ma c'è dell'altro: un alimentazione che vuole adattarsi ai
tempi nuovi, ma con i tempi di una vecchia alimentazione: prima colazione
leggera, quando sarebbe necessaria abbondante per gente che di solito lavora
fra le otto del mattino e le due del pomeriggio; e pranzi serali pesanti,
nemici dei sonni riparatori. A Roma
ormai le trattorie danno da mangiare fino ed oltre la mezzanotte e non ci si
mette a tavola prima delle ventuno.
Giorgio Bocca
("La scoperta dell'Italia" - Editore Laterza, 1963)
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