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martedì 7 novembre 2017

I GENITORI E LA RIFORMA SCOLASTICA





La scuola unica obbligatoria e gratuita (comprendente cinque anni di elementari e tre di media) entra in vigore quest'anno.   Milioni di bambini di ogni ceto a quest'ora siedono nelle stesse aule, sugli stessi banchi, per seguire gli stessi corsi.   Fino a quattordici quindici anni di età, tutti gli italiani, a cominciare da quest'anno, avranno la stessa educazione.
     Si tratta di una grande riforma, una di quelle che col tempo possono mutare il volto d'una società.   Il problema adesso non è di sapere se essa sia ben fatta o no, se l'abolizione (non ancora totale del resto) del latino sia un fatto positivo o negativo.   La riforma esiste ed è operante.   Si tratta semmai di vedere come l'accolgono gli italiani, gli alunni e soprattutto i genitori degli alunni, ora che ne vedono gli effetti, e se il paese possiede le strutture adatte per metterla in pratica.
[...] Negli ultimi anni, contemporaneamente all'espansione economica, in Italia s'è manifestato un fenomeno che nessuno aveva previsto: un desiderio generale, in tutti i ceti, a sud come a nord, di istruzione. [...]
Diamo alcuni esempi.   A Milano gli emigrati dal sud che affollano i comuni della cintura intorno alla città, appena insediati si preoccupano dell'istruzione dei figli.   Vivono ancora in una baracca, ma prima di provvedere a trovare un alloggio migliore, mandano i figli a scuola.   La situazione scolastica di Milano è critica, ma non c'è difficoltà che scoraggi il contadino pugliese o calabrese, divenuto manovale a Sesto San Giovanni o a Monza, e che vuol fare del figlio un uomo istruito.   Perché egli ha capito che lo studio permetterà a suo figlio di vivere meglio di quanto lui abbia vissuto.
[...]
 
Mario Cancogni (L'Espresso 6 ottobre 1963)
 
 
 
 
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La nascita della scuola media raccontata da Marco Rossi Doria

slcontent
Il  1°  ottobre 1963 entra in vigore la legge istitutiva della scuola media statale unificata

con Marco Rossi Doria


 



Marco Rossi-Doria. Insegnante elementare dal 1975 e formatore dei docenti dal 1990, ha insegnato a Roma, Napoli e Trento, negli USA, a Parigi e a Nairobi.  Primo maestro di strada, ha fondato a Napoli il progetto Chance - scuola pubblica di seconda occasione.
Con il Ministero dell'Istruzione, dell'Universita e della Ricerca ha fatto parte delle Commissioni per la Riforma dei cicli di istruzione (2000-2001), per il Codice deontologico dei docenti (2003- 2006), per il nuovo obbligo di istruzione (2006-2008), per il curriculum della scuola di base (2006-2007).
Per il Ministero del Lavoro e del Welfare ha partecipato alla Commissione poverta (2007-2009), alla delegazione italiana all'ONU per l'applicazione della Convenzione sui diritti dell'infanzia (2000-2001), ai gruppi di lavoro del Consiglio dell'Europa sui bambini non accompagnati (2000). 
E' stato referente per i bisogni educativi speciali nella Provincia di Trento.
Collabora con numerosi giornali e riviste, tra cui il quotidiano La Stampa.
E' autore del libro "Di mestiere faccio il maestro", edizioni L'Ancora, 2009. Premio Unicef Italia per l'infanzia nel 2000. Ha ricevuto dal Presidente della Repubblica la Medaglia d'oro per la cultura, l'educazione e la scuola nel 2001.
Già Sottosegretario di Stato con il precedente Governo.

(WIKIRADIO - 1 ottobre 2014)

giovedì 21 novembre 2013

Chi ha armato quella mano

 
 
 
[...] Ricordo, dopo le lacrime, di aver seguito con morboso interesse l'intricata vicenda delle indagini.   Attraverso la TV la realtà diventava romanzo giallo, e lo schermo portava in casa per la prima volta le immagini della violenza, la cronaca della morte di un uomo.   Noi scoprimmo la TV e la TV scopriva le sue immense possibilità, la sua forza straordinaria.
Ancora oggi rivedo, davanti agli occhi, la smorfia di dolore di Oswald colpito da Ruby; il capo della polizia di Dallas che neanche si volta dopo gli spari, risento la voce concitata dello speaker che raccontava una morte in diretta.   Kennedy diventava un mito ed anche i più fanatici di noi a sinistra avranno, negli anni successivi, difficoltà a ritenerlo "uno" degli imperialisti, "uno" degli aggressori del Vietnam.   Era americano, d'accordo, ma aveva pagato di persona le sue scelte innovatrici, la sua politica di cambiamento e noi, giovani di allora, avevamo vissuto troppo direttamente il momento della sua morte per non scorgere in esso le caratteristiche di un fenomeno che ci avrebbe a lungo seguito in Italia: il complotto di Stato.
[...]
 
Valter Veltroni
(prefazione a "Il Sogno degli anni '60"- Savelli editori, 1981
 

domenica 23 giugno 2013

Il Re del Tangaccio



[...]
"Ha cominciato all'Aretusa o mi sbaglio?" [...] "Si sbaglia" è la risposta.   Lui cominciò nella sala da ballo Filocantanti di viale Zara, e precisamente con "L'orologio matto", cioè con "Rock round a clock" e piaceva talmente, anche perché era il primo a far questo genere (i dischi di Presley non erano ancora arrivati), che a un certo punto si divertiva a portar via clienti da una sala per travasarli in un'altra dove rifaceva il numero.   Mentre più avanti piacque perché partito con l'imitare gli americani, aveva saputo creare un tipo di cantante assolutamente nuovo e tutto italiano, in cui il milanese felicemente si fonde con il meridionale.   "E guardi caso, ho cominciato proprio con quella faccenda dell'orologio, ero anzi operaio specializzato nel ramo, impiegato da quel grande orologiaio che è il signor Tranquillo Galvani, e che mi ha insegnato il mestiere.   [...]
Si, i Ribelli sono i cinque del suo complesso; il Clan è la sua casa discografica, oltre che un gruppo di amici coi quali gli piace stare, viaggiare, e divertirsi; questi calzoni è stato lui il primo a infilarseli, e quelli da sera son senza tasche, per fare il fianco più asciugato, anche la maglietta è una sua invenzione, e ha anticipato la maglia go-kart.   I soprannomi del Clan non son molto di moda, però da don Backy, il cantante-compositore, Celentano certe volte è chiamato Cavallo, mentre il sassofonista Natale, Celentano lo chiama Befanino, don Backy a sua volta, per via del collo, vien soprannominato il Condor, e il microfonista Dino, che ha una faccia sottile sottile, tutti ormai lo chiamano volentieri Lametta.
Sposarsi con la bella Milena?   "Per ora non rientra nei miei programmi, non ho ancora deciso se al momento giusto mi parrebbe di prendere in giro il prete o me stesso".   Leggere?   "Francamente non è che mi vada molto di leggere, però certe volte, se non ho voglia io, chiamo qualcuno e mi faccio leggere qualcosa, un racconto, il copione di un film, un libro no".
Quel che gli piace di più oltre a cantare? "Interpretare, inventare delle situazioni che incontrino il gusto del pubblico e in quel campo lì debbono lasciarmi fare e non darmi consigli". [...]

Camilla Cederna
("L'Espresso" - 29 settembre)

domenica 16 giugno 2013

"GRUPPO 63" - Palermo 2-9 ottobre



Di tutti gli atti unici scritti da autori del Gruppo 63 e rappresentati la sera di giovedi 3 ottobre, il più conprensibile era Lo scivolo di Michele Perriera.   Non che il resto dello spettacolo fosse noioso.    Nel  Povera Juliet di Alfredo Giuliani, per esempio, una enorme fotografia di Carlo Levi si alternava (proiettata sul soffitto della sala) con quella di uno scimmione e con una di de Gaulle.   Nel K di Edoardo Sanguineti campeggiava sul fondale un sedere di donna.  Nella Lezione di fisica di Elio Pagliarani una lettera di Einstein a Roosevelt veniva detta sul motivo di S'annamo a divertì Nannì, Nannì.    E più o meno in tutti gli sketch c'era qualcosa di buffo: una battuta ("La vecchia che scivola non vuol dire marxismo".   "Dio non sente perchè come tutti i vecchi ha le orecchie piene di peli"),  un prolungato muggito di vacche durante una scena d'amore, spari, leggii di ferro strascicati in platea, parolacce, e persino fuochi d'artificio nel cortile del teatro.   Ma il geroglifico in cui gli autori avevano celato il senso, il significato di quelle scene, era pressochè indecifrabile.   Meno che nello Scivolo.
Lo scivolo è la storia di un giovane che tenta inutilmente di sedersi: gli sta di fronte un uomo seduto a una scrivania, in testa un berretto gallonato, il quale glielo proibisce.   Il giovane chiede, poi supplica, infine minaccia; a questo punto, a un cenno dell'uomo seduto, viene trascinato via da quattro sgherri.   La metafora è molto chiara: nello Scivolo sedersi sta per "sistemarsi", avere una posizione, inserirsi nel meccanismo funzionante della società.   Come tutti i giovani, il personaggio vi tende con ogni mezzo: prima docile e fiducioso, poi sempre più affannato, in ultimo pronto alla violenza.   Nessuno dei suoi tentativi, però, convince l'uomo col berretto fitto di gradi (cioè il detentore del potere) a favorirne le intenzioni d'inserimento.   All'inizio, l'uomo del potere è soltanto indifferente; ma poi comincia ad annoiarsi, e quando l'altro si azzarda a fare la voce grossa si spazientisce e lo toglie di mezzo.
Sullo Scivolo, forse perché era il più chiaro degli undici sketch, si svolsero dopo lo spettacolo parecchie discussioni.   Bisognava considerarlo come una specie di manifesto del Gruppo 63; vale a dire di quei giovani scrittori e letterati riuniti sotto questa sigla che tra il 2 e il 9 ottobre hanno avuto a Palermo il loro primo incontro ufficiale?   Bisognava vedervi le tracce di una polemica contro la cultura tradizionale?   Il Gruppo 63 era insomma il giovane protagonista dello Scivolo cui l'uomo col berretto gallonato impedisce di "sedersi" nella vita letteraria italiana?   Era il parere di molti.
[...]

sabato 15 giugno 2013

I Santini del Pubblico Ministero (processo a "La Ricotta" di Pier Paolo Pasolini)



Il borghese superstizioso
Questa materia opinabile, fluttuante, dibattuta milioni di volte, profondamente incerta e inconsistente, questa materia dell'arte e dell'espressione artistica del sentimento religioso trovava tuttavia un suo punto fermo così nel pubblico ministero come in Pasolini.   Il punto fermo del Pubblico ministero era ravvisabile nella sua situazione sociale; quello di Pasolini nella sua religiosità.
 E veniamo prima di tutto al Pubblico ministero e alla condanna da lui richiesta e ottenuta nei confronti di Pier Paolo Pasolini.   Egli accusava Pasolini di "vilipendio della religione".   In realtà avrebbe dovuto accusarlo del reato di "vilipendio della media e piccola borghesia".   E questo non tanto perchè Pasolini aveva detto per bocca di Orson Welles che "l'Italia ha il popolo più analfabeta e la borghesia più ignorante d'Europa", e che "l'uomo medio è un mostro, un pericoloso delinquente razzista, conformista, schiavista, colonialista, qualunquista" quanto perchè aveva attaccato questa borghesia, quest'uomo medio in ciò che costituisce la loro giustificazione metafisica, oppure se si preferisce dirla alla maniera marxista, in ciò in cui consiste la sovrastuttura della loro fondamentale struttura.   Infatti: Pasolini non aveva certamente vilipeso la religione cattolica (ed è per questo e non per paura conformista, che molti cattolici e preti che non condividono le concezioni religiose della borghesia, non hanno avuto niente da ridire sulla Ricotta) bensì aveva vilipeso la piccola e media borghesia italiana attraverso la critica dell'idea che essa si fa della religione cattolica.   E qual era quest'idea?   Era l'idea che traluce nei santini in tricromia, nelle oleografie sotto vetro, nella statuaria di gesso colorato, in tutta insomma l'orribile cianfrusaglia e chincaglieria sacra il cui stile fu determinato una volta per tutte, alcuni secoli fa, dalla versione iconografica che delle figure del Vecchio e Nuovo Testamento diedero Raffaello e soltanto in piccola parte i manieristi.   Era un'idea, diciamolo pure, assolutamente fossile, zuccherosa, convenzionale, precettistica, feticistica, idolatrica, superstiziosa: un'idea, per definirla con una parola sola, convenzionale, cioè completamente priva di contenuto religioso e fatta apposta per la comodità d'una società, appunto anch'essa del tutto  irreligiosa. [...]
E veniamo a Pier Paolo Pasolini.   Abbiamo detto che in questa materia estremamente opinabile, fluida e inconsistente dell'espressione artistica del sentimento religioso c'era tuttavia in lui un punto fermo: la sua religiosità.   E infatti: in quell'aula di tribunale il solo uomo veramente religioso era proprio Pasolini.   Il Pubblico ministero si muoveva sul terreno fossile delle tradizioni defunte, cioè di santini in tricromia, delle statue di gesso colorato, della "bondieuseries" per dirla coi francesi proprie alla religione che piace alla nostra piccola borghesia: soltanto Pasolini aveva saputo far qualche cosa di nuovo e di vivo con la storia della Passione, questa storia sublime, un tempo così feconmda e oggi così sterile: aveva saputo, diciamo, strappare il Cristo, la Madonna, i Santi dagli atteggiamenti teatrali e insignificanti in cui li ha chiusi tre secoli di convenzionalità controriformistica e farli muovere e vivere in una maniera nuova, tra i ruderi e i prati della periferia, sullo sfondo dei palazzi di cemento armato dei sobborghi romani.

sabato 23 marzo 2013

3 giugno 1963 - ore 19,49 muore GIOVANNI XIII

 
Il 31 maggio iniziò l'agonia.   Nel primo pomeriggio del 3 giugno, Papa  Giovanni patì di una febbre altissima, circa 42 gradi, in conseguenza alla malattia che lo affliggeva da tempo (tumore allo stomaco)