[...] Che i giovani del 1963 siano
diversi, per molti aspetti, da quelli di dieci anni prima è
nell'ordine normale delle cose. E' mutato il mondo intorno a loro;
mutato l'ambiente, il "clima" spirituale, culturale,
religioso, morale, politico, economico, sociale in cui essi si
muovono; le possibilità di esperienza si sono enormemente dilatate e
soprattutto hanno una storia diversa: non potevano i giovani non
esserne influenzati.
[...] Pur "scottati" dentro e
fuori, o forse appunto per questo, i giovani del '53 avevano a loro
modo uno slancio che si traduceva a volta a volta, in tensione etica,
rivolta polemica, in dolente ripiegamentoo in sofferto scetticismo.
Era, il loro, un mondo un pò confuso e contraddittorio, ma che si
muoveva intorno a due ideali o prospettive di vita: una guerra da
dimenticare o da recuperare e quindi una pace inquieta da riempire, ed
una democrazia da realizzare. Le idee non erano affatto chiare, ma
il senso dell'impegno, c'era e ciò li rendeva meno lucidi e
consequenziali, meno concreti ed efficienti forse, ma più intensi e
coraggiosi. In una parola, più giovani.
Hanno una "passione" i
giovani degli anni sessanta? C'è una "passione" che
convenzionalmente e almeno esteriormente li caratterizzi? Per gli
studenti degli anni quindici c'era, fu l'irredentismo delle
dannunziane "radiose" giornate di maggio; per quelli degli
anni trentacinque fu l'impero che ritornava "sui colli fatali di
Roma"; negli anni quaranta furono Nizza e la Corsica, la
Dalmazia e l'"ordine nuovo" da instaurare nel "vecchio
mondo diventato scemo"; anche i giovani degli anni cinquanta
hanno avuto le loro "passioni": c'era Trieste, c'era la
Comunità europea di difesa, c'era ancora la polemica fra fascismo e
antifascismo. Quanto è lontano tutto ciò! Sono finiti
nell'armamentario dei ferri vecchi la guerra igiene del mondo e la
bella morte, il mal d'Africa e il ricordo di Adua, il nazionalismo e
l'imperialismo, il disdegno della vita comoda e la polemica
antiborghese, la retorica di Roma e il nostro primato, e la
contemporanea costante opprimente consapevolezza di essere un popolo
di affamati, di emigranti. (questa del '63) E' la prima generazione
che non si presenti inalberando il gran pavese dei "forti
ideali!"
[…] non sanno più che cosa sia la
realtà effettiva e sociale della fame, la loro casa non conserva il
sapore amaro della disoccupazione, della sottoccupazione; sono
(trascorsi) 18 anni di una pace “miracolata” da un progresso
economico goduto come se fosse un'esperienza di sempre. Quanto è
costata? Quanto costa? La guerra e la Resistenza sono, per loro,
esperienza letteraria se non addirittura libresca.
[…] Sono radicati alla famiglia: una
famiglia nuova, meno larga nelle dimensioni, meno autoritaria, ma non
meno intima e sentita della vecchia. […] nell'ambito di una
prospettiva comunitaria, che la scuola non ha ma che potrebbe
benissimo avere, collaborerebbero senza disagio con i docenti; in
mancanza, la scuola è, per la maggioranza di loro, un peso che è
necessario sopportare per arrivare al risultato pratico: il diploma.
Hanno un senso concreto dello Stato e
dei suoi larghi doveri di intervento, preventivo più che repressivo.
Hanno una certa fiducia nella giustizia terrena, nel metodo
democratico. Hanno l'animo libero da pregiudiziali religiose e
antireligiose.
Hanno interessi politici. Ma sono,
questi, interessi che non trovano rispondenza negli schemi delle
vecchie ideologie e dei vecchi partiti: non vogliono sentir parlare
di classi, non leggono giornali di partito. […] Se guardassimo con
le formule e i metri correnti, questi nostri giovani deideologizzati
dovremmo collocarli a destra. Giovani inseriti, privi di fermenti
di rivolta [...]: giovani protetti e sterilizzati, piuttosto poveri di
ricordi e di fantasia, miranti allo stipendio, alla sicurezza e alla
pensione più che al successo e alle ricchezze; “vecchi”;
infastiditi verso la generazione dei padri […]. Sarebbe
probabilmente la prima volta, nella storia generazionale del paese,
che una generazione colta nelle sue aspirazioni giovanili deve essere
collocata alla destra: Benedetto Croce, per spiegare i suoi trascorsi
socialisti, diceva che il “rosso” è la scarlattina che ogni
giovane è costretto ad attraversare, ma questa gioventù sembra che
l'abbia saltata la scarlattina.
[…] Sono i figli del nostro tempo,
delle nostre crisi, della nostra società. […] In fondo, sono i
figlioli che noi abbiamo voluto, noi che ostentiamo ideali in cui in
fondo non crediamo e in realtà miriamo ai beni di consumo: ora che
li abbiamo questi figlioli, li guardiamo con stupore. E ci
spaventano un poco, per questo loro accettare la società di cui sono
l'espressione. Tutti i sistemi sociali impostati sul “sicurismo”,
sul welfare state, sulla sproletarizzazione crescente,
allevano una gioventù di questo tipo, tranquilla, volta alle
soddisfazioni tangibili e perciò pericolosamente disponibile,
divorabile dalla tecnica, strumentalizzabile; ma da noi la questione
s'aggrava perchè l'Italia è “sicurismo” solo a metà, perchè
c'è l'altra Italia, quella 'africana', nei confronti della quale,
gli studenti del triangolo industriale tendono a crearsi una
mentalità di tipo neocolonialista. Per il momento non sembra che
l'idea di unità europea – che può essere o diventare la
“passione” dei giovani degli anni sessanta – si presenti come
soluzione o via di superamento di questi limiti e di queste
contraddizioni.
Se non temessimo di banalizzare un
concetto […], definiremmo questi i giovani delle 3 m: un
mestiere sicuro che non costi troppi sacrifici […]; una macchina
che testimoni del gusto per il confort e del raggiunto benessere […];
una moglie da amare sinceramente e senza troppe complicazioni […].
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"I
GIOVANI DEGLI ANNI SESSANTA" di Ugoberto Alfassio-Grimaldi e Italo Bertoni
(Laterza, 1964)
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