sabato 16 febbraio 2013

I GIOVANI DEGLI ANNI SESSANTA - Conclusione

 
 
 
 

[...] Che i giovani del 1963 siano diversi, per molti aspetti, da quelli di dieci anni prima è nell'ordine normale delle cose. E' mutato il mondo intorno a loro; mutato l'ambiente, il "clima" spirituale, culturale, religioso, morale, politico, economico, sociale in cui essi si muovono; le possibilità di esperienza si sono enormemente dilatate e soprattutto hanno una storia diversa: non potevano i giovani non esserne influenzati.
[...] Pur "scottati" dentro e fuori, o forse appunto per questo, i giovani del '53 avevano a loro modo uno slancio che si traduceva a volta a volta, in tensione etica, rivolta polemica, in dolente ripiegamentoo in sofferto scetticismo. Era, il loro, un mondo un pò confuso e contraddittorio, ma che si muoveva intorno a due ideali o prospettive di vita: una guerra da dimenticare o da recuperare e quindi una pace inquieta da riempire, ed una democrazia da realizzare. Le idee non erano affatto chiare, ma il senso dell'impegno, c'era e ciò li rendeva meno lucidi e consequenziali, meno concreti ed efficienti forse, ma più intensi e coraggiosi. In una parola, più giovani.
Hanno una "passione" i giovani degli anni sessanta? C'è una "passione" che convenzionalmente e almeno esteriormente li caratterizzi? Per gli studenti degli anni quindici c'era, fu l'irredentismo delle dannunziane "radiose" giornate di maggio; per quelli degli anni trentacinque fu l'impero che ritornava "sui colli fatali di Roma"; negli anni quaranta furono Nizza e la Corsica, la Dalmazia e l'"ordine nuovo" da instaurare nel "vecchio mondo diventato scemo"; anche i giovani degli anni cinquanta hanno avuto le loro "passioni": c'era Trieste, c'era la Comunità europea di difesa, c'era ancora la polemica fra fascismo e antifascismo. Quanto è lontano tutto ciò! Sono finiti nell'armamentario dei ferri vecchi la guerra igiene del mondo e la bella morte, il mal d'Africa e il ricordo di Adua, il nazionalismo e l'imperialismo, il disdegno della vita comoda e la polemica antiborghese, la retorica di Roma e il nostro primato, e la contemporanea costante opprimente consapevolezza di essere un popolo di affamati, di emigranti. (questa del '63) E' la prima generazione che non si presenti inalberando il gran pavese dei "forti ideali!"
[…] non sanno più che cosa sia la realtà effettiva e sociale della fame, la loro casa non conserva il sapore amaro della disoccupazione, della sottoccupazione; sono (trascorsi) 18 anni di una pace “miracolata” da un progresso economico goduto come se fosse un'esperienza di sempre. Quanto è costata? Quanto costa? La guerra e la Resistenza sono, per loro, esperienza letteraria se non addirittura libresca.
[…] Sono radicati alla famiglia: una famiglia nuova, meno larga nelle dimensioni, meno autoritaria, ma non meno intima e sentita della vecchia. […] nell'ambito di una prospettiva comunitaria, che la scuola non ha ma che potrebbe benissimo avere, collaborerebbero senza disagio con i docenti; in mancanza, la scuola è, per la maggioranza di loro, un peso che è necessario sopportare per arrivare al risultato pratico: il diploma.
Hanno un senso concreto dello Stato e dei suoi larghi doveri di intervento, preventivo più che repressivo. Hanno una certa fiducia nella giustizia terrena, nel metodo democratico. Hanno l'animo libero da pregiudiziali religiose e antireligiose.
Hanno interessi politici. Ma sono, questi, interessi che non trovano rispondenza negli schemi delle vecchie ideologie e dei vecchi partiti: non vogliono sentir parlare di classi, non leggono giornali di partito. […] Se guardassimo con le formule e i metri correnti, questi nostri giovani deideologizzati dovremmo collocarli a destra. Giovani inseriti, privi di fermenti di rivolta [...]: giovani protetti e sterilizzati, piuttosto poveri di ricordi e di fantasia, miranti allo stipendio, alla sicurezza e alla pensione più che al successo e alle ricchezze; “vecchi”; infastiditi verso la generazione dei padri […]. Sarebbe probabilmente la prima volta, nella storia generazionale del paese, che una generazione colta nelle sue aspirazioni giovanili deve essere collocata alla destra: Benedetto Croce, per spiegare i suoi trascorsi socialisti, diceva che il “rosso” è la scarlattina che ogni giovane è costretto ad attraversare, ma questa gioventù sembra che l'abbia saltata la scarlattina.
[…] Sono i figli del nostro tempo, delle nostre crisi, della nostra società. […] In fondo, sono i figlioli che noi abbiamo voluto, noi che ostentiamo ideali in cui in fondo non crediamo e in realtà miriamo ai beni di consumo: ora che li abbiamo questi figlioli, li guardiamo con stupore. E ci spaventano un poco, per questo loro accettare la società di cui sono l'espressione. Tutti i sistemi sociali impostati sul “sicurismo”, sul welfare state, sulla sproletarizzazione crescente, allevano una gioventù di questo tipo, tranquilla, volta alle soddisfazioni tangibili e perciò pericolosamente disponibile, divorabile dalla tecnica, strumentalizzabile; ma da noi la questione s'aggrava perchè l'Italia è “sicurismo” solo a metà, perchè c'è l'altra Italia, quella 'africana', nei confronti della quale, gli studenti del triangolo industriale tendono a crearsi una mentalità di tipo neocolonialista. Per il momento non sembra che l'idea di unità europea – che può essere o diventare la “passione” dei giovani degli anni sessanta – si presenti come soluzione o via di superamento di questi limiti e di queste contraddizioni.
Se non temessimo di banalizzare un concetto […], definiremmo questi i giovani delle 3 m: un mestiere sicuro che non costi troppi sacrifici […]; una macchina che testimoni del gusto per il confort e del raggiunto benessere […]; una moglie da amare sinceramente e senza troppe complicazioni […].

__________________________________________
"I GIOVANI DEGLI ANNI SESSANTA" di Ugoberto Alfassio-Grimaldi e Italo Bertoni (Laterza, 1964)
 
 
 

Nessun commento:

Posta un commento